Presentazione Convegno Virtuale AIP Sperimentale – Settembre 2020

La mia presentazione al Convegno Virtuale

dell’Associazione Italiana di Psicologia, Sezione Sperimentale – Settembre 2020

Link alle slide: Zogmaister 2020 Gli stati motivazionali modulano la validità dello IAT

 

Poiché quello dello IAT e della sua validità è un tema che mi sta particolarmente a cuore, qui pubblico un riassunto della presentazione che ho fatto al convegno AIP di quest’anno:

Lo IAT, e le misure indirette degli atteggiamenti più in generale, svolgono un ruolo importante nella ricerca psicologica e si sono dimostrate utili in campi di ricerca vari ed eterogenei come la psicologia sociale, della personalità, della salute. Le opportunità per il loro utilizzo in contesti applicati sono disparate (solo per fare qualche esempio, è stato proposto di usare questo strumento in contesti legati alla psicologia organizzativa, alla psicopatologia, in ambito forense e del marketing). 

Affinché questi strumenti d’indagine siano utili ed efficaci – e non ci portino a trarre conclusioni sbagliate – è importante utilizzarli in modo appropriato. Perciò serve aver chiaro come funzionano e quali possono essere gli effetti delle situazioni in cui le usiamo e degli stati dei rispondenti, altrimenti si corrono vari rischi: 

  1. il rischio di usarle e non ottenere le informazioni che noi vorremmo
  2. quello (forse ancora peggiore) di ottenere dei risultati ma interpretarli male

C’è una differenza sostanziale tra le misure dirette degli atteggiamenti (ossia questionari e interviste) e quelle indirette (IAT, AMP, priming affettivo e così via):

Quando affronta un questionario, il rispondente può riflettere ed eventualmente andare a cercare nella sua mente le informazioni rilevanti prima di rispondere. Non è così con le misure indirette, nelle quali, invece, il rispondente vede degli stimoli e il suo atteggiamento viene dedotto da come reagisce a questi stimoli: Ad esempio, potrebbe essergli chiesto loro di classificare insieme immagini che rappresentano l’oggetto attitudinale e parole positive o negative, e il suo atteggiamento potrebbe essere dedotto dalla facilità differenziale con cui svolge il compito, a seconda della valenza delle parole. Tutto ciò funziona solo se l’atteggiamento si presenta in maniera spontanea alla mente del rispondente mentre sta facendo il compito. In altre parole, per valutare l’atteggiamento, le misure indirette richiedono che, al momento dell’elaborazione dell’oggetto, il sistema cognitivo attivi automaticamente l’affetto associato

La questione, perciò, è se la valutazione si attivi sempre in maniera spontanea, oppure invece si attivi con maggiore facilità in certe circostanze rispetto ad altre. Se, come suggeriva William James, il pensiero è funzionale all’azione (“My thinking is first and last and always for the sake of my doing”, William James, 1890), allora è plausibile che l’atteggiamento verso un certo oggetto sarà disponibile soprattutto quando vogliamo agire su questo oggetto, ossia quando l’oggetto è rilevante per gli obiettivi e le motivazioni che abbiamo in quel momento. Perciò l’ipotesi di questa ricerca era la seguente:

H: Le misure indirette dovrebbero riuscire a cogliere meglio gli atteggiamenti se l’oggetto è motivazionalmente rilevante.

Per testare quest’ipotesi abbiamo condotto due studi. Ora racconterò per sommi capi i due esperimenti e poi discuterò alcune delle implicazioni.  Una descrizione completa è presente nell’articolo recentemente pubblicato sulla rivista Social Cognition, indicato in fondo a questa pagina (chi fosse interessato, può contattarmi via email per riceverne una copia).

I due esperimenti avevano una struttura simile tra loro, rappresentata per sommi capi nella figura sottostante. 

Nel primo studio l’oggetto di atteggiamento era costituito da due gusti di tè  (alla pesca e al limone). Nel secondo studio invece si trattava di due marche di dentifricio. Abbiamo costruito uno IAT e un questionario per misurare la preferenza rispettivamente per il tè alla pesca o al limone e per l’una o l’altra marca di dentifricio.

La procedura degli esperimenti era questa:

  1. Per prima cosa, in metà dei partecipanti veniva indotto uno stato motivazionale rilevante. Nel primo studio venivano dati da mangiare dei cracker salati ma soltanto a metà dei partecipanti veniva data dell’acqua (mentre l’altra metà dei partecipanti rimaneva assetata).  Nel secondo studio a metà dei partecipanti venivano dati dei biscotti da mangiare,  inducendo così il bisogno di pulirsi i denti
  2. Poi si procedeva a misurare gli atteggiamenti con la misura indiretta, ossia lo IAT, e con il differenziale semantico.
  3. Infine veniva chiesto al partecipante di effettuare un comportamento di scelta, che era diverso per i due studi:  nel primo veniva detto che c’era un possibile premio e questo premio consisteva in lattine di Estathè i partecipanti dovranno scegliere quale gusto preferissero. Nel secondo studio invece veniva simulato una sessione di acquisti on-line,  in un supermercato virtuale; i partecipanti avevano una lista della spesa,  che conteneva anche il dentifricio e noi misuravamo quale marca di dentifricio  acquistavano.

Volevamo vedere se lo IAT fosse predittivo del comportamento di scelta nelle  condizioni di motivazione aumentata (sete oppure bisogno di lavarsi i denti) e di controllo.

In tutti e due gli esperimenti:

  1. La rilevanza motivazionale (quindi la nostra manipolazione) moderava la predittività dello IAT.
  1. Nella condizione «motivazione» lo IAT era predittivo del comportamento (l’effetto era significativo ed anche piuttosto forte).
  1. Nella condizione di controllo, invece, il predittore IAT non era significativo.

In altre parole, la nostra ipotesi è stata confermata e questi risultati mostrano che  lo IAT ha una validità predittiva maggiore o minore a seconda di quanto l’oggetto d’atteggiamento sia rilevante per lo stato mentale del partecipante.  Anzi, di fatto,  quando  l’oggetto di atteggiamento non era motivazionalmente rilevante (ossia, nelle condizioni di controllo) lo IAT non si è rivelato un predittore significativo.

Tutto ciò ha una serie di implicazioni di natura sia pratica che teorica.

Dal punto di vista pratico questi dati mostrano che se il rispondente in quel momento non nutre interesse verso l’oggetto di atteggiamento, la misura indiretta funziona male.  Ma, passando all’aspetto positivo, mostrano anche che noi possiamo aumentare la validità predittiva dello IAT (e verosimilmente anche delle altre misure indirette, ma questa è una domanda aperta) ponendo i rispondenti in uno stato motivazionale adeguato.

Ma io credo che dal punto di vista pratico l’aspetto ancora più importante sia che questi dati ci mostrano che dobbiamo fare attenzione quando interpretiamo i risultati delle nostre ricerche. Dobbiamo sempre ricordare che c’è un processo che interviene tra l’atteggiamento e la misurazione dell’atteggiamento – e che ci sono diverse possibili variabili di confusione (tra cui lo stato motivazionale) che possono inquinare i risultati.

Passando a una prospettiva più teorica questi risultati mostrano che la disponibilità mentale degli atteggiamenti impliciti è influenzata da stati transitori, plausibilmente oltre alla motivazione ce ne sono altri, e suggeriscono di andare a indagare questi altri stati. 

Sempre al punto di vista teorico, è importante capire come avvenga questo fenomeno di modulazione della validità dello IAT. La mia ipotesi è quella che quando l’oggetto è rilevante allora esso sia più attivo, più disponibile a livello cognitivo, e perciò maggiormente capace di attivare la valutazione ad esso associata. Sono però possibili anche altre spiegazioni: per esempio  in questo lavoro abbiamo analizzato il ruolo del  livello di astrazione e abbiamo mostrato che la rilevanza motivazionale è associata a una preferenza per uno stile più concreto verso l’oggetto, però i nostri dati suggeriscono anche che non sia quest’effetto a mediare la maggiore aggressività dello IAT.

 

Questa ricerca è descritta in dettaglio in:

Cristina Zogmaister, Juliette Richetin, Marco Perugini, Michela Vezzoli, and Giulia Songa (2020). Motivational Relevance Modulates the Predictive Validity of the Implicit Association Test. Social Cognition: Vol. 38, No. 3, pp. 234-265.

https://doi-org.proxy.unimib.it/10.1521/soco.2020.38.3.234

E’ possibile contattarmi via email per ricevere una copia dell’articolo.

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